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Delle esperienze della prima media già ho parlato. Un periodo tutto sommato felice, solo dopo l’orario scolastico, s’intende. La mia classe era un posto abbastanza informe. La scuola Enrico Fermi aveva cinque sezioni, dalla A alla E. Come nei gironi infernali si procedeva da quelli più in basso – tipo Cocito – a quelli più vicini al paradiso. La D conteneva i casi più particolari ed emarginati, per esempio c’era mia cugina e un suo compagno (uno tra quelli che mi bullizzava nel doposcuola, ma lasciamo perdere) Giulio, di famiglia africana, bello come Lenny Kravitz e crudele come pochi. Mia cugina era non tanto diversa, come atteggiamento. Salendo nei gironi si arrivava alla C, la mia sezione, di quelli un po’ così, come si usava con i voti allora: dalla A alla E. Ecco, noi eravamo una C: un sufficiente tirato per la giacchetta. E infatti i miei compagni erano persone altamente mediocri. Nicola il biondo fighettino, Roberto il bulletto acido e c’era anche il moro Daniele corrispettivo (che contava i soldi in base ai voti ricevuti), due arricchiti con la puzza sotto il naso (quello che mi diceva apertamente chi gli facevo schifo). E poi una scala variabile di maschi, che alle medie passano dal blob al mostriciattolo irritante e puntuto. Il mio preferito era Eluio, un vero outsider, con cui infatti cercavo di legare senza molto successo. Ma aveva idee nuove, pensieri originali, e la forza di affermarli. Le ragazze ugualmente un coacervo di manie, fobie, tentativi di sgambetti reciproci, idiosincrasie, cattiverie e varie schiferie. Poche poche si salvavano, Francesca Cag*a (vi risparmio la crudeltà con un cognome del genere) dolce e materna, la mia unica amica Claudia e io che non avevo neanche un nome proprio, ero per tutti Bosio. Bosio e basta. E tenete conto che Viola era un nome per niente diffuso.
Dimenticavo Renato, il mio unico compagno delle elementari: goffo, simpatico, alto e unico.
Bene, all’inizio della seconda appare un miraggio all’orizzonte: Nicola M., nuovo trasferito. Un viso un po’ da scoiattolo causa dentoni, occhi azzurrissimi, atletico, simpatico, un po’ sbruffone ma gentile con tutti, persino con Bosio-blob. Piaceva a tutti, indistintamente e io – furba come poche – me ne innamorai. All’epoca – oltre a vestirsi tutti malissimo – stare insieme significava comunicarlo a tutti, scambiarsi due biglietti e in caso dopo due ore ritirare la proposta. La nostra nobiliare Laura M. P. (e altri cinque cognomi) lo faceva ogni tanto: dalle otto all’una della giornata era ufficialmente insieme al povero sfigato (ma ricco) della classe (come lei) e poi si mollavano prima dell’uscita.
La nostra classe era disposta a coppie di banchi, ogni mese circa si cambiava posto e a me spesso toccava un maschio come vicino. A parte lo sfigato ricco di sopra – che stava bene con me, ma poi mi evitava nei momenti di socialità – mi arriva una volta il dio: Nicola.
E lì perdo il lume della ragione. Da vicino era anche migliore: anche più dolce e gentile, oltre che carino. Per un caso fortunatissimo potevo accompagnarlo per un pezzo di strada fino casa sua, da soli, e lo feci per qualche tempo. Era un piacere stare con lui, per cui ovviamente ero e rimanevo il Bosio-blob.
Finché un tragico giorno Nicola trovò la fatalona della classe, Manuela S. Lei era quella possiamo dire, arrivata. Aveva il motorino, usciva con quelli delle superiori, aveva – si vociferava – già avuto esperienze erotiche complete ed era bella, statuaria, con capelli gonfi e setosi (i miei erano flosci e tristi), occhi azzurri velati di grigio, un sorriso abbagliante e un linguaggio alto, financo la musica era diversa: lei ascoltava la techno, chiaro segnale di un’esperienza a me preclusa, la discoteca.
Insomma, era talmente oltre che non avevo la benché minima chance. E infatti si prese Nicola. Due limonatori da competizione. Io ero lì, triste con gli occhiali bordati di tartaruga, le tute riciclate (anche in acetato frusciante, ma non ero l’unica) e i completini in pile fatti da mia madre, adorati dalle professoresse e da me, solo. Non avevo niente: nessuna esperienza, no bellezza, no buona conversazione. Figuriamoci limonamenti.
E così, una sera, fuori da scuola a passare del tempo insieme (si andava in pizzeria e poi gelato) li osservavo intristita avvinghiati come serpi a scambiarsi fluidi corporei, e Nicola che mi guardava con una certa pietà. Ho smesso di innamorarmi, penso da allora.
Ma per fortuna c’era la vita al di fuori, d’estate, lontano da quel calvario della scuola media e del cag nuovo. C’era lui, quel cretino di Alberto (non della colonia estiva) che – chissà perché – mi corteggiava. Così, suppongo per prendermi in giro.
Ma questa è un’altra storia di delusioni.
A Nicola oggi vorrei dire: grazie, mi hai fatto capire che esistono persone (uomini) gentili e nel contempo particolarmente fichi, probabilmente mi hai creato l’imprinting giusto per il marito che ho ora. Soprattutto, che abbia gli occhi chiari, verdi o azzurri. Peccato che a volte si mettano insieme con le Manuela di questo mondo e non calcolino i blob neanche di striscio, non c’è proprio storia.